Oscurato dalla frenetica attività solista dell'altra metà dei Dead Can Dance, la Lisa Gerrad che tanta foruna ha riscosso grazie alle molte colonne sonore cui ha preso parte, Brendan Perry pare essere stato relegato nel dimenticatoio dal pubblico e da gran parte della critica. Colpevolmente, vien da dire. Di certo vestire i panni dello stakanovista non è il suo forte, il polistrumentista inglese ha infatti fin ad ora lasciato una sola testimonianza dalla (apparente?) fine dei Dead Can Dance ad oggi. Ritiratosi a vita privata su di un'isola irlandese, nel 1999 Perry dà luogo ad un monologo dai tratti crepuscolari ed ammalianti, pervasi da lievi fasci di luce che creano così una morbida penombra. Le otto tracce di Eye Of The Hunter hanno una struttura verticale scarna, improntata per lo più su assi di chitarra acustica arpeggiata, dove al di sotto soffiano leggere brezze di keyboards che mantengono in sospensione il corpus sonico. Il tono elegiaco con cui si approccia Perry ha i modi garbati di un cantautorato molto confidenziale, ma nel contempo mai autistico, mai desideroso di estromettere l'ascoltatore dalle sue paure, dalle sue incertezze. Col suo timbro caldo e rassicurante, Brendan accarezza il bambino che è in lui dandogli la buonanotte con la delicata ninna-nanna di Saturday's Child. Il cielo, carico di malinconica pioggia si incupisce improvvisamente col sopraggiungere di Voyage Of Bran e sembra di star a contemplare il triste panorama regalato da una baia isolata dove i gabbiani paiono fluttuare, sospesi dalle gelide raffiche di vento che vi imperversano. Si cambia scenario, non meno tenebroso. Medusa è un valzer d'oltretomba che accompagna corpi senz'anima in un ballo in maschera. Gli occhi sono vuoti, il cuore si è sciolto, l'anima è evaporata. La porta si chiude alle nostre spalle e fuori è l'alba e le note di Sloth volteggiano tenere riportando un pò di quiete per condurci verso due episodi che non poco rammentano il Mark Lanegan di "The Winding Sheet", I Must Have Been Blind e The Captive Heart, quest'ultimo uno dei due brani dell'intera tracklist che si avvalgono di un sostegno percussivo. Death Will Be My Bride è oscura col suo lento incedere che pare dover esplodere da un momento all'altro. Giungono così falsetti e flussi pinkfloydiani in Archangel, che spicca un possente volo emotivo in coda, quando il piano rintocca senza sosta e la voce di Perry vi si staglia sopra nuda come in blues gotico, quasi disperato. È la fine del viaggio, un viaggio passato in sordina di cui non molti si diedero conto quando venne rivelato. Vale la pena riscoprirlo.
4AD, 1999
Satrurday's Child / Voyage Of Bran / Medusa / Sloth / I Must Have Been Blind / The Captive Heart / Death Will Be My Bride / Archangel
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