Per chi ama le sonorità dure e contaminate questo 2007 che volge oramai al termine non può non essere ricordato come l'anno della Relapse. La label statunitense, da febbraio a novembre ha immesso sul mercato una considerevole mole di album di livello medio-alto, marchiando probabilmente il suo periodo più prolifico. della macchina da guerra gestita dalla premiata ditta Yurkiewicz/Jacobson. In un anno poverissimo di dischi di rilievo in ambito Metal (con la M maiuscola), la perseveranza, l'attenzione e lo "stile" dell'etichetta guidata dal binomio Yurkiewicz/Jacobson sono davvero una delle pochissime note intonate dell'attuale (e sempre più spompato) panorama metallaro. Peccato solo che Neurosis e Nile si siano congedati dal parco delle (mostruose) meraviglie Relapse, altrimenti la concorrenza sarebbe stata seriamente rasa al suolo.
Gli album menzionati sono ordinati in ordine cronologico in base alle date di pubblicazione ufficiali. Tutte le uscite sono state recensite dal sottoscritto e trovate i relativi articoli nell'archivio della webzine Silent Scream ed alcune in quelli de Il Cibicida e Taxi-Driver.
Discendenti di gente come Dillinger Escape Plan e Today Is The Day, aspettarsi docili carezze felpate dai Car Bomb sarebbe utopistico. La band picchia con fare nevrastenico e convulsivo anche se ogni tanto si avverte una certa inesperienza nel songwriting. Il loro math-core è ben costruito e mette in rilievo certe doti personali, nonostante le evidenti ascendenze. Da tenere sott'occhio, nome che promette scintille future.
recensione
Le luciferine visioni di un caotico albo come "Within Dividia" non parrebbero nemmeno appartenere alla stessa formazione che forgia questo Elementary. Con un nuovo vocalist, i The End ripartono (quasi) da zero, tenendosi la claustrofobia del passato, ma guardando adesso a lidi sonori differenti, come il thrash evoluto di Meshuggah e SikTh ed il progressive moderno di marca Tool. E' un disco non semplice da assimilare, nonostante vi siano non rare aperture melodiche ed alcune songs accessibili come The Never Aftermarth e Throwing Stones. Album cupo che è un vero e proprio bivio per i canadesi ma che dimostra che sotto la ferraglia dell'esordio vi era ben più che un'iconoclasta voglia di radere al suolo tutto.
recensione
La psichedelia del nuovo millennio passa inevitabilmente da qui. Il rituale dei Minsk espianta l'anima dal corpo e la dissolve in un pulviscolare nirvana che chiude definitivamente l'opprimente samsara che ci lega a questo mondo e alle sue sofferenze, ai suoi dolori. Ma prima bisogna sciogliere i legami e abbandonare tutto, il sangue e la carne compresi. Onde che si alzano e si abbassano lente, magmatiche, nel cerimoniale in cui Tool, Neurosis e Dead Can Dance si fondono in un tutt'uno. Il picco più alto del 2007 targato Relapse.
recensione1 - recensione2
Malvagi e sporchi come pochi in giro, i Rwake si confermano tra i migliori esponenti del doom/sludge. Andature rallentate che fanno largo ad improvvisi colpi d'acceleratore, tetri intarsi acustici, una voce psicopatica e malefica a rendere ancora più lercio un sound venuto direttamente dal fango. Ci si immagini i Mastodon dediti al doom, ma sempre disposti a rifilare stilettate di un certo calibro. Classe cristallina da un mefitico acquitrino e Voices Of Omens un disco da ricordare. I compagni di label Unearthly Trance sono avvisati.
recensione
La sola title-track sintetizza perfettamente l'essenza di un disco che pesca direttamente negli stilemi classici dell'heavy-metal. Ad incendiare il microfono c'è Kyle Thomas, ex-vocalist dei dimenticati Floodgate, e la band tira fuori una prestazione maiuscola carica di potenza e compattezza. Un pò più lontani dall'hard-sludge dei dischi precedenti ma non meno muscolari, i Thunderpussy aprono il fuoco e accade il finimondo. Album tosto e conferma per un gruppo che si tende spesso a mettere in secondo piano, sbagliando.
recensione
Ad onor del vero, uno dei lavori migliori usciti in questo anno di vacche anoressiche in ambito metal tradizionale. Ed è tutto dire, perché i Dying Fetus non fanno altro che riprendere ciò che han sempre fatto, ma magari con una punta di hardcore in più che certifica una lieve apertura nella rinomata ortodossia dei newyorkesi. I quali sparano fuori un lavoro denso ed efferato che non lascia scampo, come da tradizione.
Forse un'evoluzione del genere era anche prevedibile, ma i belgi Leng Tch'e vanno oltre. Dal furibondo e "nasumiano" grind-core di "The Process Of Elimination" si giunge ora ad un (brutal)death metal evoluto, venato di sludge e stoner, aperture un pò più rock del solito ed una complessità, figlia di una certa maturità, ed un affrancamento dai prodromi di base non indifferenti. Segno che oramai l'impermeabilità di un linguaggio sonoro tanto scandagliato come quello del grind-core non fa più parte della nuova generazione di mutanti della musica pesante.
recensione
Invero uno dei punti più bassi di quest'annata per l'etichetta. E dire che dagli Antigama, dopo il bel "Zeroland", ci aspettavamo di sicuro un album di tutto rispetto. I polacchi invece si limitano al minimo sindacale, ricusando le peculiari sortite semi-industriali dello sperimentale disco precedente ed accodandosi al trend del grind/death schizofrenico. Resonance non è un disco da buttar via, ma poco riesce a farsi ricordare in termini di freschezza di idee. Potevano decisamente far di meglio.
recensione
Già di per sè condivido le "fantascientifiche" teorie evoluzioniste dei Cephalic Carnage, poi se tirano fuori una roba come Xenosapien, album violento cerebralmente ancor prima che fisicamente, finisce che questo va a piazzarsi come uno dei migliori lavori estremi dell'anno. Un pò meno sperimentale di "Anomalies", questa nuova prova ribadisce la caratura del five-piece di Denver, che si prende pure il lusso di infilare un sax inatteso in G.lobal O.verhaul D.evice, mentre tutt'attorno è un perenne stridere di ferraglia insanguinata. Da annoverarsi tra i nuovi maestri del metal estremo.
recensione
Ciò che è stato detto in chiusura del trafiletto sopra vale anche per i Pig Destroyer. Phantom Limb non ha riscosso unanimi consensi come accadde per il terrificante "Terrifyer". Probabilmente non tutti hanno colto il coraggio della band guidata da J.R. Hayes, intenta ad uscire dai reticoli del grind-core ultra-sparato e pronta ad aprirsi verso sonorità non ancora esplorate (almeno per loro) come lo stoner ad esempio. Le rasoiate thrasheggianti che i Pig Destroyer sanno infliggere farebbero impallidire persino i maestri Slayer tanto sono feroci e malefiche e non sto mica scherzando. Provare per credere, miei piccoli San Tommaso.
recensione1 - recensione2
La Relapse se li è accaparrati direttamente dall'interessante catalogo della Level Plane dopo un debutto eponimo di tutto rispetto. Affetta dal punk/crust, quella dei Coliseum è una perene scorribanda a metà tra High On Fire e Motorhead, ma plasmata con una decisa personalità che lascia intendere buoni sviluppi futuri. Ryan Patterson, mastermind della cricca, trascina i suoi come la motrice di un tir lasciato in discesa senza freni verso la distruzione del mondo. Alla fine non vi è nessuna salvezza, sia chiaro.
recensione
Questo è uno degli album sordio migliori che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tre, quattro anni. Dando un orecchio ai due Ep che segnarono gli esordi del gruppo, una virata verso un sound così vintage e settantiano non era poi tanto facile da pronosticare. I Nostri tengono a bada l'ascendenza Mastodon e mirano a dare fisionomia ad un hard-rock che si fonde col progressive di nuova concezione, aprendosi a levigate digressioni psichedeliche, accentuando la componente melodica delle linee vocali, pur sempre parecchio "grattate". Rays On Pinion, Isak, Wanderlust, The Birthing, O'Appalachia, Wailing Wintry Wind sono i picchi più alti di un disco senza nessun momento debole. Persino l'artwork, realizzato dal vocalist/chitarrista John Baizley (alle prese con la cover dell'ultimo Pig Destroyer), è uno dei migliori dell'anno. Una nuova grande promessa: teniamoceli stretti.
recensione
Ecco cosa vuol dire suonare heavy-metal legato alle radici in maniera fresca e senza cadere nei cliché del genere. Death Is This Communion è invero il capolavoro della creatura post-Sleep di Matt Pike, paladino di un sound arcano ma dannatamente moderno che spazza con un solo riff (quello dell'iniziale Fury Whip) porcherie ambulanti come Trivium ed Avenged Sevenfold dalla faccia del pianeta. Questo è il nuovo e vero Heavy Metal e gli High On Fire sono tra i migliori esponenti del genere. Un album grumoso e possente e devastante che non ci permette di rifiatare nemmeno quando i ritmi si fanno più blandi (Khanrad's Wall). Uno dei nuovi classici della musica pesante. Punto e basta.
recensione
Sempre indefinibili e con più piedi in una sola scarpa, gli australiani Alchemist continuano a dar vita ad album degni del rispetto degli appassionati di musica intelligente e ricercata. Le loro songs non sono mai banali e le atmosfere spaziali si coniugano perfettamente con quel peculiare riffing tagliente che in più punti ammicca alle dure caratteristiche post-core. Sanno dosare forza e cervello senza che le due componenti si sleghino, magari sperimentando un pò di meno, ma dimostrandosi una delle formazioni più convincenti ed incatalogabili in circolazione.
Lo hanno detto tutti: oramai i Dillinger hanno la pattonite. E mi sa tanto che ai tutti non si può dar di certo torto. Questo è il loro disco più coraggioso perché il più melodico, quello che attirerà più critiche ma nel contempo dimostrerà quanto i Nostri siano tanto duttili quanto intelligenti. Fa un pò uno strano effetto sentire il rockabilly malato di Milk Lizard o l'heavy-pop di Black Bubblegum provenire dagli ampli di un gruppo che ha codificato un genere tanto oltranzista come il math-core di estrazione grind. "Miss Machine" è il loro masterpiece, questo certifica la voglia di non rendersi schiavi degli schemi che essi stessi hanno creato. Gente con coraggio da vendere.
recensione
Gli album menzionati sono ordinati in ordine cronologico in base alle date di pubblicazione ufficiali. Tutte le uscite sono state recensite dal sottoscritto e trovate i relativi articoli nell'archivio della webzine Silent Scream ed alcune in quelli de Il Cibicida e Taxi-Driver.
Discendenti di gente come Dillinger Escape Plan e Today Is The Day, aspettarsi docili carezze felpate dai Car Bomb sarebbe utopistico. La band picchia con fare nevrastenico e convulsivo anche se ogni tanto si avverte una certa inesperienza nel songwriting. Il loro math-core è ben costruito e mette in rilievo certe doti personali, nonostante le evidenti ascendenze. Da tenere sott'occhio, nome che promette scintille future.
recensione
Le luciferine visioni di un caotico albo come "Within Dividia" non parrebbero nemmeno appartenere alla stessa formazione che forgia questo Elementary. Con un nuovo vocalist, i The End ripartono (quasi) da zero, tenendosi la claustrofobia del passato, ma guardando adesso a lidi sonori differenti, come il thrash evoluto di Meshuggah e SikTh ed il progressive moderno di marca Tool. E' un disco non semplice da assimilare, nonostante vi siano non rare aperture melodiche ed alcune songs accessibili come The Never Aftermarth e Throwing Stones. Album cupo che è un vero e proprio bivio per i canadesi ma che dimostra che sotto la ferraglia dell'esordio vi era ben più che un'iconoclasta voglia di radere al suolo tutto.
recensione
La psichedelia del nuovo millennio passa inevitabilmente da qui. Il rituale dei Minsk espianta l'anima dal corpo e la dissolve in un pulviscolare nirvana che chiude definitivamente l'opprimente samsara che ci lega a questo mondo e alle sue sofferenze, ai suoi dolori. Ma prima bisogna sciogliere i legami e abbandonare tutto, il sangue e la carne compresi. Onde che si alzano e si abbassano lente, magmatiche, nel cerimoniale in cui Tool, Neurosis e Dead Can Dance si fondono in un tutt'uno. Il picco più alto del 2007 targato Relapse.
recensione1 - recensione2
Malvagi e sporchi come pochi in giro, i Rwake si confermano tra i migliori esponenti del doom/sludge. Andature rallentate che fanno largo ad improvvisi colpi d'acceleratore, tetri intarsi acustici, una voce psicopatica e malefica a rendere ancora più lercio un sound venuto direttamente dal fango. Ci si immagini i Mastodon dediti al doom, ma sempre disposti a rifilare stilettate di un certo calibro. Classe cristallina da un mefitico acquitrino e Voices Of Omens un disco da ricordare. I compagni di label Unearthly Trance sono avvisati.
recensione
La sola title-track sintetizza perfettamente l'essenza di un disco che pesca direttamente negli stilemi classici dell'heavy-metal. Ad incendiare il microfono c'è Kyle Thomas, ex-vocalist dei dimenticati Floodgate, e la band tira fuori una prestazione maiuscola carica di potenza e compattezza. Un pò più lontani dall'hard-sludge dei dischi precedenti ma non meno muscolari, i Thunderpussy aprono il fuoco e accade il finimondo. Album tosto e conferma per un gruppo che si tende spesso a mettere in secondo piano, sbagliando.
recensione
Ad onor del vero, uno dei lavori migliori usciti in questo anno di vacche anoressiche in ambito metal tradizionale. Ed è tutto dire, perché i Dying Fetus non fanno altro che riprendere ciò che han sempre fatto, ma magari con una punta di hardcore in più che certifica una lieve apertura nella rinomata ortodossia dei newyorkesi. I quali sparano fuori un lavoro denso ed efferato che non lascia scampo, come da tradizione.
Forse un'evoluzione del genere era anche prevedibile, ma i belgi Leng Tch'e vanno oltre. Dal furibondo e "nasumiano" grind-core di "The Process Of Elimination" si giunge ora ad un (brutal)death metal evoluto, venato di sludge e stoner, aperture un pò più rock del solito ed una complessità, figlia di una certa maturità, ed un affrancamento dai prodromi di base non indifferenti. Segno che oramai l'impermeabilità di un linguaggio sonoro tanto scandagliato come quello del grind-core non fa più parte della nuova generazione di mutanti della musica pesante.
recensione
Invero uno dei punti più bassi di quest'annata per l'etichetta. E dire che dagli Antigama, dopo il bel "Zeroland", ci aspettavamo di sicuro un album di tutto rispetto. I polacchi invece si limitano al minimo sindacale, ricusando le peculiari sortite semi-industriali dello sperimentale disco precedente ed accodandosi al trend del grind/death schizofrenico. Resonance non è un disco da buttar via, ma poco riesce a farsi ricordare in termini di freschezza di idee. Potevano decisamente far di meglio.
recensione
Già di per sè condivido le "fantascientifiche" teorie evoluzioniste dei Cephalic Carnage, poi se tirano fuori una roba come Xenosapien, album violento cerebralmente ancor prima che fisicamente, finisce che questo va a piazzarsi come uno dei migliori lavori estremi dell'anno. Un pò meno sperimentale di "Anomalies", questa nuova prova ribadisce la caratura del five-piece di Denver, che si prende pure il lusso di infilare un sax inatteso in G.lobal O.verhaul D.evice, mentre tutt'attorno è un perenne stridere di ferraglia insanguinata. Da annoverarsi tra i nuovi maestri del metal estremo.
recensione
Ciò che è stato detto in chiusura del trafiletto sopra vale anche per i Pig Destroyer. Phantom Limb non ha riscosso unanimi consensi come accadde per il terrificante "Terrifyer". Probabilmente non tutti hanno colto il coraggio della band guidata da J.R. Hayes, intenta ad uscire dai reticoli del grind-core ultra-sparato e pronta ad aprirsi verso sonorità non ancora esplorate (almeno per loro) come lo stoner ad esempio. Le rasoiate thrasheggianti che i Pig Destroyer sanno infliggere farebbero impallidire persino i maestri Slayer tanto sono feroci e malefiche e non sto mica scherzando. Provare per credere, miei piccoli San Tommaso.
recensione1 - recensione2
La Relapse se li è accaparrati direttamente dall'interessante catalogo della Level Plane dopo un debutto eponimo di tutto rispetto. Affetta dal punk/crust, quella dei Coliseum è una perene scorribanda a metà tra High On Fire e Motorhead, ma plasmata con una decisa personalità che lascia intendere buoni sviluppi futuri. Ryan Patterson, mastermind della cricca, trascina i suoi come la motrice di un tir lasciato in discesa senza freni verso la distruzione del mondo. Alla fine non vi è nessuna salvezza, sia chiaro.
recensione
Questo è uno degli album sordio migliori che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tre, quattro anni. Dando un orecchio ai due Ep che segnarono gli esordi del gruppo, una virata verso un sound così vintage e settantiano non era poi tanto facile da pronosticare. I Nostri tengono a bada l'ascendenza Mastodon e mirano a dare fisionomia ad un hard-rock che si fonde col progressive di nuova concezione, aprendosi a levigate digressioni psichedeliche, accentuando la componente melodica delle linee vocali, pur sempre parecchio "grattate". Rays On Pinion, Isak, Wanderlust, The Birthing, O'Appalachia, Wailing Wintry Wind sono i picchi più alti di un disco senza nessun momento debole. Persino l'artwork, realizzato dal vocalist/chitarrista John Baizley (alle prese con la cover dell'ultimo Pig Destroyer), è uno dei migliori dell'anno. Una nuova grande promessa: teniamoceli stretti.
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Ecco cosa vuol dire suonare heavy-metal legato alle radici in maniera fresca e senza cadere nei cliché del genere. Death Is This Communion è invero il capolavoro della creatura post-Sleep di Matt Pike, paladino di un sound arcano ma dannatamente moderno che spazza con un solo riff (quello dell'iniziale Fury Whip) porcherie ambulanti come Trivium ed Avenged Sevenfold dalla faccia del pianeta. Questo è il nuovo e vero Heavy Metal e gli High On Fire sono tra i migliori esponenti del genere. Un album grumoso e possente e devastante che non ci permette di rifiatare nemmeno quando i ritmi si fanno più blandi (Khanrad's Wall). Uno dei nuovi classici della musica pesante. Punto e basta.
recensione
Sempre indefinibili e con più piedi in una sola scarpa, gli australiani Alchemist continuano a dar vita ad album degni del rispetto degli appassionati di musica intelligente e ricercata. Le loro songs non sono mai banali e le atmosfere spaziali si coniugano perfettamente con quel peculiare riffing tagliente che in più punti ammicca alle dure caratteristiche post-core. Sanno dosare forza e cervello senza che le due componenti si sleghino, magari sperimentando un pò di meno, ma dimostrandosi una delle formazioni più convincenti ed incatalogabili in circolazione.
Lo hanno detto tutti: oramai i Dillinger hanno la pattonite. E mi sa tanto che ai tutti non si può dar di certo torto. Questo è il loro disco più coraggioso perché il più melodico, quello che attirerà più critiche ma nel contempo dimostrerà quanto i Nostri siano tanto duttili quanto intelligenti. Fa un pò uno strano effetto sentire il rockabilly malato di Milk Lizard o l'heavy-pop di Black Bubblegum provenire dagli ampli di un gruppo che ha codificato un genere tanto oltranzista come il math-core di estrazione grind. "Miss Machine" è il loro masterpiece, questo certifica la voglia di non rendersi schiavi degli schemi che essi stessi hanno creato. Gente con coraggio da vendere.
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