Ammetto che solo in tempi recenti sono riuscito a comprendere la portata di un album come Salvation. Spesso, molto spesso direi, tante opere svelano tutto il loro valore dopo parecchio tempo e, parlando a titolo personale, questo terzo episodio discografico dei Cult Of Luna rientra perfettamente nella schiera. Quando quattro anni fa venne immesso sul mercato, l'accoglienza riservatagli da gran parte della critica fu alquanto tiepida. Non voglio certo mettermi qui a criticare i giudizi altrui o a fare del becero revisionismo, anche perché “Salvation” non è certo un capolavoro, è doveroso ammetterlo. Rappresenta una fase di transizione per il seven-piece svedese, un momento interlocutorio in cui i Nostri imboccarono la strada che li portò, lo scorso anno, alla forgiatura di un disco enorme come “Somewhere Along The Highway”, lavoro che la maggior parte della critica ha elogiato meritatamente. Il passaggio dalle scorie neurosisiane di “The Beyond” alle strane fattezze di “Salvation” spiazzò non pochi. Fatto sta che qui i Cult Of Luna iniziano a recidere quel cordone che li legava ai padri Neurosis, lavorando maggiormente ad un sound più personale, dove la potenza delle chitarre veniva in parte smagrita, caricando di contro il corpus sonoro di elementi fino a quel momento relegati ad un livello inferiore. Lunghe digressioni affluiscono in immaginifici ed ampi spazi di vuoto, radure fluttuanti che a momenti flirtano con l'ambient, in cui gli echi si accendono e spengono ripetutamente. Lo schiudersi di Echoes, l'intermezzo di Vague Illusions, gran parte della soffusa Crossing Over (che ammicca al diluito e sognante post-rock dei Sigur Ròs) ricalcano fedelmente questa tendenza alla rarefazione delle strutture. La maggiore consapevolezza nelle proprie capacità descrittive conduce i sette di Umea a dipingere climi notturni dove la luna è una gelida lampadina che buca il nero vellutato di un cielo dove gli astri sono evanescenti. La voce di Klas Rydberg è sempre urlata e sconfortata, si abbandona all'afflizione totale, come in preda ad un vigoroso pianto nervoso. La disperazione di una Leave Me Here vale invero più della metà dell'intero viaggio: uno spesso muro di onde ci scuote prima dell'abbandono in discesa verso l'abisso accompagnati da giri post-rock. Elemento quest'ultimo molto presente ma nel contempo plasmato secondo i dogmi della psichedelia, fuso con le sue esplorazioni spaziali. Le strutture del post-hardcore primigenio si dilatano per dare vita a qualcosa di fascinosa eleganza e di magari ancora acerba ma nel contempo innegabile particolarità. La prima parte di Waiting For You pare anticipare la desolazione di “And With Her Came The Birds” (inclusa in”Somewhere Along The Highway”), salvo poi innervarsi con un potentissimo riff che la fa letteralmente esplodere, dando luogo ad uno strumentale (solo nel finale è graffiata dalla voce di Klas) di dieci minuti di rara intensità. La maniacale cura delle dinamiche nei brani è un particolare fondamentale per l'economia del suono dei Cult Of Luna, i quali, lavorando su architetture a climax, lasciano che la profondità aumenti progressivamente. Stilisticamente parlando non è menzogna dire che qui le intuizioni del capolavoro “Kollapse” dei Breach vengono elaborate a dovere. Disco da riscoprire e sviscerare per coglierne l'essenza, carica di sfuggevole bellezza.
(Earache, 2004)
Echoes / Vague Illusions / Leave Me Here / Waiting For You / Adrift / White Cell / Crossing Over / Into The Beyond
(Earache, 2004)
Echoes / Vague Illusions / Leave Me Here / Waiting For You / Adrift / White Cell / Crossing Over / Into The Beyond
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