sabato 18 agosto 2007

NEW FACES

Seguire le vicende della rigogliosa scena underground statunitense equivale a perdersi in un marasma di nomi e sonorità che, il più delle volte, annaspano (anche senza speranza) in cerca del tanto agognato posto al sole. È innegabile che la rete sia diventato ora più che mai uno strumento parecchio efficace per conoscere nuove, piccole realtà (e per quest'ultime, per rivelarsi ad un pubblico che vada oltre i confini natii), d'altro canto il sovraffollamento di gruppi di qualsiasi estrazione sonora rende molto complicato ogni processo di scrematura: non di rado infatti, dal setaccio ne filtra qualcuno che non meriterebbe le attenzioni rivoltegli. In questa sede segnalo telegraficamente cinque formazioni pressochè sconosciute in suolo italico: la stampa ne parla poco o non ne parla affatto, il pubblico molto spesso ne ignora l'esistenza.

Littered With Arrows
(Goodfellow Records, 2007) è il secondo lavoro su lunga distanza per i temibili Destroyer Destroyer, five-piece dell'Oklahoma in vita da tre anni. Gravitano intorno al circuito Debello Records, agguerrita e microscopica label americana che ha in roster altre, interessanti bande di folli metallari come Anapparatus, Triumph Of Gnome, Machinist, El Cerdo, Operator Dead: Post Abandoned, tutte formazioni votate alla distruzione senza compromessi con fendenti death, grind e thrash in forma evoluta. I Destroyer Destroyer, sin dalla ragione sociale, eliminano anche il minimo residuo di dubbio riguardo la loro forza bruta: sono invero una micidiale macchina di morte che genera un chaos spaventoso in un ammasso apparentemente informe di urla giunte allo stadio terminale dell'isteria più acuta e stilettate elettriche discendenti tanto dal math-grind quanto dal death-core più belluino, senza ripudiare mid-tempos tritaossa. La loro violenza non conosce sosta, imperversa perpetua in ogni frammento di "Littered With Arrows", anche quando Off The Beaten Path, a metà tracklist, fa decelerare leggermente questa folle corsa verso la polverizzazione di ogni cosa.

Gli Apiary hanno esordito lo scorso anno con Lost In Focus per Metal Blade. Pur non inventando nulla (anche se in effetti il riffing è molto personale), i cinque americani demoliscono le barriere tra diversi linguaggi dell'universo metal, avendo come punto di riferimento le complesse architetture math-core. Ci si immagini una (ulteriore!) estremizzazione dei cervellotici schemi ritmico-tonali dei maestri Meshuggah, imbastarditi con le recenti evoluzioni (post)metal-core (i Deadguy sono spesso dietro l'angolo). La voce è un rigurgito di rabbia che si staglia su deraglianti chitarroni che stridono e si rincorrono in sviluppi prettamente prog. Metal d'assalto intelligente, li attendiamo per sconvolgerci ulteriormente in futuro.

Di metal hanno poco se non nulla i Souvenir's Young America, trio proveniente da Richmond, Virginia. La loro è una musica fortemente ispirata dai "viaggi" del post-rock strumentale (Labradford e Godspeed You! Black Emperor stanno nei paraggi, senza scordarci dei Grails), tenendo sempre ben presente la lezione "prog" di gente come Isis e Tool (autentici prodromi spirituali). C'è dell'ascetismo tra queste note, come un percorso interiore inarrestabile che pare generato dal disgelo del cuore, prima soggiogato in un malinconico torpore. Le immagini si fanno vive e tangibili in mezzo a chitarre riverberate e climi autunnali, qualche lievissimo squarcio doom tenta di farsi largo, residui ancora pulsanti dell'esordio di giusto un anno fa. An Ocean Without Water (Crucial Blast, 2007) è tutto questo ed oltre, flussi in movimento dopo ipnotiche soste, alba fluorescente dopo una gelida notte di solenne riflessione.

Ce l'hanno parecchio con l'amministrazione del loro paese. E non si può dar certo loro torto. Gli Architect da Syracuse, NY, sono incazzati fino al midollo e ce lo mostrano senza troppi patemi d'animo nel furibondo All Is Not Lost. Il singer Keith sembra un Corey Taylor nevrastenico e trascina il resto della cricca verso catastrofici scenari di distruzione urbana. Ogni song è un autentico colpo di falce che scippa letteralmente le teste. Dal background hardcore, e si sente a chilometri di distanza, gli Architect allestiscono un assalto all'arma bianca semplicemente spaventoso tanto è spietata la loro attitudine. Non mancano i tecnicismi tipicamente metal (il rifferama deve tanto anche alla fusione crust/doom) posti al servizio di una belligerante dichiarazione di intenti che pare la perfetta colonna sonora per gli ultimi istanti di vita prima di un'esplosione nucleare. Alla fine non vi saranno prigionieri.

I Graf Orlock sono gli ultimi ad essere menzionati in questo breve "focus on", ma non si intnda che siano meno talentuosi degli altri. Il loro "spazz-core" è malato e folle, come è giusto che sia, affetto dalla morbosa passione di quelli del gruppo per i film fantascientifici. Non mancano infatti ritagli di dialoghi provenienti direttamente dalle pellicole originali e persino il tema di "Jurassik Park" viene utilizzato per chiudere l'album (con The Dream Left Behind). Non c'è solo il tipico grind-core esasperato da queste parti, tante aperture si rifanno alla violenza tipica del thrash metal. L'artwork di Destination Time Tomorrow poi è un'autentica figata: fa un certo effetto vedersi sbucare la testa di Alien quando si apre il packaging alla ricerca del dischetto. È facile quindi intuire come questi ragazzi californiani siano gente dall'estro spiccato, non solo in termini musicali. Secondo Ep in carriera per la sempre attenta Level Plane Records per una delle migliori realtà del malatissimo panorama spazz-core.

venerdì 3 agosto 2007

IMPRESSIONS #4

FLOODGATE : Penalty
(Roadrunner, 1996)

I Floodgate hanno lasciato una sola, ma pur sempre validissima testimonianza della loro breve esistenza. Kyle Thomas, il frontman, fa adesso parte degli Alabama Thunderpussy, coi quali ha dato vta giusto questo anno all'ottimo "Open Fire". Penalty è un disco solido, impiantato su un rifferama derivato dai codici dei Black Sabbath, eterno punto di riferimento per chi si dedichi a certe sonorità. I Floodgate hanno dalla loro una buonissima vena melodica (complice la versatile voce di Thomas, qui affiancato dal fratello Kevin al basso) ed una spessa corazza vicina alla grassezza dello sludge (Through My Days Into My Nights sta dalle parti dei Crowbar, la seguente Till My Soil l'avrebbero potuta scrivere i Corrosion Of Conformity). Le distorsioni sono quindi corpose e sintetizzano il lato più muscolare del gruppo, mai troppo dipendente dagli ascendenti dei Seventies (ci sono anche i Blue Cheer da qualche parte sparsi), pur ammiccando non sporadicamente al southern rock (la ballad Whole fa però troppo il verso alla celeberrima "Planet Caravan" dei Sabbath). Band da molti dimenticata, non fondamentale, ma che se avesse perseverato sarebbe da annoverarsi tra i Big del genere.


COLOSSAMITE : Economy Of Motion
(Skin Graft, 1998)

I Dazzling Killmen furono una delle espressioni più fulminanti ed eminenti del math-rock statunitense della prima metà dello scorso decennio. Non è di loro che parlo in questa sede però (anche se lo meriterebbero eccome), ma dell'avventura successiva ad essi del vocalist (??) Nick Sakes, i Colossamite. Quartetto composto da ben tre chitarre (senza basso, c'è oltre solo la batteria di Chad Popple), la loro è un'incursione nelle lande più malate del math, cui si rifanno per certi incastri di chitarra spigolosi e caotici, oltre che per una schizofrenia jazzata nell'impianto ritmico. Le linee vocali (??) riescono ad uscire fuori dal consueto urlare sguaiato e folle solo nella riflessiva Busy Little Hand, Economy Of Motion per intero è mosso da pulsioni primitive, violente, ma anche di aperture di classe (Tooth Of DaVinci). Tutti tranne Sakes andranno, di lì a poco, a dar vita ai non meno folli (e molto più sperimentali) Gorge Trio, progetto di cui attendiamo notizie da un pò.


MAMMATUS : The Coast Explodes
(Holy Mountain, 2007)

Mammatus è il nome attribuito dai metereologi ad un'enorme e spettacolare formazione nuvolosa che si forma in particolari condizioni climatiche. È anche la ragione sociale adottata da quattro eccezionali musicisti di Santa Cruz, California, invero quanto di meglio si sia udito in tempi recenti in ambito progressive/psichedelico. La musica di The Coast Explodes pare confondersi con la natura, riappropriarsi di quella sua genuina naturalezza proiettandosi fin oltre l'esosfera, accendersi come una palla di fuoco e vibrare verso gli astri. È il rito primordiale di fusione della natura umana con gli elementi terrestri (The Changing Winds), la corsa al cardiopalma negli acidi percorsi space-rock dei precursori Hawkwind o degli Ozric Tentacles (la mostruosa opener Dragon Of The Deep Part Three (Excellent Swordfight), epitome del Mammatus-pensiero). Voce alta e allucinata che si insinua, senza mai salire in cattedra però, tra stilettate di giri chitarristici discendenti dello stoner. E dall'infinità dello spazio si torna sulla Terra e si scava, fino ad arrivare al nocciolo, al centro del pianeta per dissolversi tra gli incandescenti gas (la teminale title-track). Mai così retrò, mai così freschi, non una caduta, non un singolo passaggio a vuoto, quaranta minuti di alta scuola.