lunedì 10 dicembre 2007

TOOL : Lateralus


Nel disquisire di vere e proprie pietre miliari della musica il rischio di tracimare in una secca pozzanghera di luoghi comuni e di concetti espressi fino allo sfinimento è sempre in agguato. Tutti hanno detto qualcosa in merito, tutti hanno sviscerato ogni minimo fraseggio di chitarra, ogni semplice virgola delle liriche, tutti hanno fatto affiorare messaggi reconditi reali o, a volte, mere allucinazioni, tutti hanno vivisezionato il corpus in maniera tanto minuziosa da non lasciare nulla nell'ombra. Dire qualcosa di nuovo su Lateralus? No, non è certo il mio compito, nessuna pretesa. Probabilmente il disco più influente e fondamentale della musica pe(n)sante del nuovo millennio. Non è necessario essere un fan dei Tool per convenire con l'assunto di cui sopra. Gran parte delle forme di metallo evoluto, del rock più fresco ed intelligente, dell'umbratile universo "post" ha contratto un enorme debito con la formazione di Adam Jones e Maynard James Keenan. La gestazione di "Lateralus" è lunga e un pò offuscata dalle nebbie del dubbio in merito al proseguo della carriera della band, alle prese con fastidiosi intoppi legali con la loro label, la Volcano, e side-projects di lusso (gli A Perfect Circle). Il suo parto giunge comunque il 15 maggio del 2001, quattro anni e mezzo dopo il già disarmante "AEnima". Alcune delle arcane accezioni del disco sono già espresse nel folle artwork realizzato dal visionario pittore Alex Grey ed ispirato dalle idee del chitarrista Adam Jones (i due si conobbero durante un'esposizione di Grey nel 1999), con rimandi all'anatomia, all'ascetismo orientale, alla cabala. La copertina, il cui disegno finale è la risultante di immagini sovrapposte, ben si sposa con le architetture sonore che i quattro musicisti sono in grado di concertare. Le composizioni smembrano la forma canzone, pur mantenendo fede all'impianto con un'idea nucleare supportata da una protesi che la amplia, ed intorno a ciò ruotano le diverse variazioni su tema, sempre pertinenti con la matrice del brano. Si ottiene così una coesione narrativa che lambisce la perfezione, in cui ogni song assume le sembianze di un capitolo che ha vita a sè ma totalmente assorbito nella trama generale. Il manto ritmico è rigoglioso di tempi dispari e spostamenti di accenti, spettro ampliato da tratti percussivi di impronta etnico-orientale (la triade Disposition, Reflections, Triad è il compendio finito), mettendo in mostra l'impressionante crescita tecnica di Danny Carey (il rullante secco di questo album ha fatto scuola, tra le altre cose). Il lavoro di Justin Chancellor al basso ne palesa non soltanto le abilità strumentali, ma è evidente l'enorme duttilità del suo stile, ancor più che rispetto al passato chitarrista aggiunto con le sue trame fitte e fondamentali per la coralità dell'opera. Adam Jones si prende la briga di ridisegnare i paradigmi della chitarra rock moderna, facendo di una precisa ampiezza degli intervalli una delle caratteristiche principali del suo riffing. Le salmodianti melodie di Maynard James Keenan paiono strisciare sui tessuti strumentali penetrandoli tra le maglie ed omogeneizzandosi ad essi, complice anche il particolare trattamento della voce, equalizzata e mixata in maniera alquanto singolare (pare incassata tra due muri e provenire da chissà dove, è al contempo disgiunta dal resto ma ne fa inevitabilmente parte all'origine). La produzione è in condominio tra la band e David Bottrill (già in cabina di regia per "AEnima") e rivela una cura maniacale dei suoni, spesso gelidi e distanti, i cui strati nascondono dettagli che emergono anche a distanza di anni dal primo ascolto. La macchina aliena si innesta e sette secondi più tardi il tribalismo di The Grudge invade i padiglioni auricolari, distendendosi tra sinuosi risvolti poggiati su un riff ipnotico ed altalene di pieni e vuoti con quel basso "lunare" a tagliare improvvisamente la corrente. Sin dalla prima traccia si può notare il particolare lavoro di distribuzione della metrica nei testi di Keenan, segmentati attentamente seguendo la sequenza ritmica delle sillabe di ogni parola. Cosa che è palese nel decadente neo-surrealismo di Schism, invero la traslazione di un componimento cameristico in partiture rock che avanza con una stralunata cadenza in un'impalcatura poliritmica legata da una sopraffina filigrana. Il dittico Parabol / Parabola coagula gran parte dell'essenza ascetico/esoterica dell'album, l'anima si dimena all'interno di un corpo che è un semplice mezzo, una forma materiale che ingloba ciò che di inafferrabile ma tanto prezioso è in noi. Ma il punto focale è la title-track, il cui titolo si rifà(rebbe) al processo di lateralizzazione dell'essere umano, e quindi, al continuo evolversi della mente nell'esistenza terrena. Il (quasi) minimale giro iniziale funge da ouverture ad un continuo susseguirsi di esplosioni e ribassamenti, in un ciclico giro di dinamiche semplicemente da manuale. Il climax finale è poi l'apogeo emotivo dell'intero disco, autentico vortice che risucchia ogni componente del nostro corpo in uno spazio indefinito ed indefinibile. La dinamicità delle canzoni è indubbiamente un aspetto molto importante e The Patient non ne è di certo esente (Eon Blue Apocalypse è il suo prologo, così come Mantra per "Schism"), con una prima sezione che cresce lenta e che si squarcia in prossimità del refrain, seguendo chitarre ruggenti (ed in certi momenti inoltrate in sentieri parecchio metallici), fino alla fine dove le bellissime melodie della sei corde supportano in "seconda voce" quella di Maynard. Ticks & Leeches appare sin da subito come un brano atipico, principalmente nell'approccio vocale graffiato e distorto, in cui gli esoterismi ritmici prendono il sopravvento. Con Disposition, chiosando la lirica, il tempo cambia e si fa ricco di penombre, e ci ritroviamo ad errare tra sentieri desertici rischiarati dal riflesso lunare, ambiente perfetto per la meditazione. Reflections così diventa la liturgia in cui Maynard sale in cattedra con le sue linee ipnotiche che zigzagano su tortuose evoluzioni orientaleggianti, e la trance si sposta lentamente dalla mente al cosmo tramite fasci luminosi di cui ancora una volta Adam Jones è l'artefice. A suggellare la "suite" giunge Triad, selvaggio assalto strumentale, stavolta un pò meno complesso del solito, ricco di insidiose eco, come se una tribù stesse officiando un rito propiziatorio. Chiude il cerchio la disturbante Faap De Oiad, grumosa massa di rumori che insidiano il monologo di un telespettatore americano spacciatosi per un impiegato dell'Area 51, successivamente rivelatosi uno scherzo: resta comunquea alto il tasso di suspence, soprattutto quando la telefonata si interrompe improvvisamente. "Lateralus" è il punto di non ritorno dei Tool e del rock, adesso mutato in maniera irreversibile. Forgiato in un non identificato angolo della ricerca artistica, questo albo è un oscuro monolite che irradia fascinosi e misteriosi raggi magnetici capaci di proiettarci in una dimensione ultraterrena. Esperienza sacra di una sacra realtà.

(Volcano, 2001)
The Grudge / Eon Blue Apocalypse / The Patient / Mantra / Schism / Parabol / Parabola / Ticks & Leeches / Lateralus / Disposition / Reflection / Triad / Faap De Oiad.

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