Come il caso, la catena di eventi che ruzzolano uno sull'altro, compenetrandosi e lasciando ognuno la propria traccia su quello che lo ha preceduto, come la casualità può, in ogni istante della vita, farci deragliare dal sentiero che ci eravamo prefissati di percorrere. Ruota intorno a questo, ma non solo, il Leviatano di Paul Auster. Uno degli autori più apprezzati in terra natìa (gli USA), Auster architetta una storia "paradossalmente reale", in cui l'intersecarsi degli eventi assume i toni di un ventaglio di possibilità che può senza alcun dubbio trovare riscontro nell'esistenza di tutti i giorni. Al centro dei fatti vi è Benjamin Sachs, scrittore promettente e persona brillante. A narrare è il suo amico Peter Aaron, scrittore anch'egli, che qui redige il "memoriale", il testamento del passaggio su questa terra di Sachs. Si, perché sin da principio si è al corrente del fatto che Sachs sia morto. Aaron lo ha appreso da un trafiletto sul New York Times: Sei giorni fa un uomo si è fatto saltare in aria sul ciglio di una strada del Wisconsin del nord. L'FBI indaga e va a casa di Aaron, la vittima aveva il suo numero in tasca. Da qui lo scrittore congiunge i pezzi e decide di mettere mano al libro e di narrare la storia del suo amico, dal momento in cui, fortuitamente (ma nemmeno poi tanto) si incontrano, fino agli ultimi tormentati periodi. La chiave di tutto sono le coincidenze, quelle stradine secondarie che affluiscono nel lungo viale che è la vita (a tal proposito mi viene in mente, quasi a mo' di flash cerebrale, il dipinto di Paul Klee, "Strada principale e strade secondarie", ma non chiedetemi perché). I personaggi entrano, escono, poi rientrano e riescono. Episodi, lasciati lì come contorno, seminati come tracce, assurgono a rulo primario in un punto successivo del districarsi della storia. Il tono è accorato e morbido, ma non si lascia mai andare ad enfasi eccessivamente caricata o digressioni melense. Ogni apertura "filosofica" interna alla narrazione non appare mai disgiunta dallo svolgersi dei fatti e ciò che più colpisce è la fluidità dello stile. In una scrittura priva di costruzioni troppo cervellotiche ed ermetiche (vizietto di tanti scrittori al giorno d'oggi), le parole si susseguono con una semplicità applicata ad un'efficacia comunicativa quasi disarmante. Andando avanti ed indietro nel tempo il narratore Auster/Aaron costruisce una storia umana a tratti toccante, che lambisce le lande della disperazione ma non se ne lascia travolgere. A permerare il tutto c'è sempre quel barlume di speranza, a volte sepolto e poi disseppellito che è come una luce in fondo al tunnel. Formidabile la descrizione della personalità di Sachs e la forgiatura di un quadro spazio-temporale mai eccessivamente sfumato, in modo tale da poter incastonare gli eventi in determinati punti di riferimento. S'avverte una lieve flessione verso la fine del quarto capitolo, in cui la descrizione dei fatti diviene un po' frettolosa e la "banalità" degli avvenimenti non è ben camuffata da un intreccio fin lì davvero molto efficace. "Leviatano" scorre velocemente senza perdere in tensione e flusso narrativo, crea un quadro realista governato dal paradosso delle incidenze. Una lezione di vita, in cui convergono anche il senso degli ideali, il rispetto della vita, la funzione stessa della scrittura (come mezzo di sopravvivenza dello scrittore nella coscienza collettiva dopo la morte). Un romanzo che potrebbe lasciare il segno in chi avrà il piacere d'intrattenersi in sua compagnia, come in una chiacchierata tra vecchi amici incontratisi casualmente per strada.
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