Prima ancora di essere una indie-label, 43rd Parallel è un collettivo di musicisti di Portland che, accomunati dalla passione per le pubblicazioni in vinile, si sono riuniti per produrre non solo le proprie band madre, ma anche altri piccoli gruppi del panorama stoner, doom e sludge americano. Le uniche notizie reperibili le si intercettano sul "solito" MySpace , dato che ancora l'etichetta è sprovvista di un proprio sito (attualmente in fase di allestimento). Non si sa quindi quando essa sia nata, ma è certo che il numero di pubblicazioni (finora solo split) è alquanto esiguo. Tra le band che hanno condiviso 10" e 12" ci sono i bostoniani Cortez, gli A Thousand Knives Of Fire, Sin Of Angels e Beneath Oblivion. Tirature limitatissime (dalle 350 alle 1000 copie circa) in diversi colori, giusto per stuzzicare gli irrefrenabili appetiti dei fans del formato vinile. Mi servo di questa piccola label come punto di partenza, o meglio, come trait d'union, per spendere qualche parola su due delle tre band che le hanno dato vita. Perché non tutte e tre è presto detto. Purtroppo i Moneycastasia non hanno ancora inciso nulla e l'unica testimonianza della loro attività è un video presente sulla loro pagina MySpace che è pressoché superfluo, data la brevità (giusto una ventina di secondi) e la pessima qualità audio. Nell'universo p2p non v'è traccia alcuna di registrazioni a loro intestate, penso che bisognerà attendere ancora un pò. Non resta che puntare i riflettori sulle altre due band coinvolte nel progetto.
Dal nome suggestivo tanto quanto le loro creazioni sonore, i Conifer sono un quartetto strumentale da tenere sott'occhio. Nell'unica loro release omonima del 2004 i Nostri flirtano con diversi linguaggi musicali. L'apertura di Troy pare sottratta alle radure ambientali dei Boards Of Canada, con le frequenze che si intrecciano e ribollono, prima che si innesti un arpeggio che i Mogwai della prima ora non avrebbero affatto disdegnato. Ed è solo l'inizio di un ammaliante viaggio, in cui le dinamiche sono cesellate perfettamente per creare grandi aree di pieni e vuoti che si interscambiano. Quando tutto sembra acquietarsi arrivano da chissà dove voci orrorifiche che paiono strangolarsi tra di loro, come se degli spiriti malvagi avessero deciso di manifestarsi in uno scontro fratricida accompagnato da un tessuto che nel frattempo ha assunto i tratti somatici del doom. È un continuo rifrangere di stili, un continuum che si spezza in continuazione, pur mantenendo una filigrana che gli impedisce di sfibrarsi e slacciarsi: si passa in un batter d'occhio dallo stoner al post-rock, da deflagrazioni di chitarre ad abbassamenti di intensità inattesi di origini ambient. Nella sola Troy, nei suoi venticinque minuti, è riassunta gran parte dell'essenza di Conifer, che nella successiva Turning Sand Into Glass si svolge quasi completamente in ambito stoner/doom, a differenza di Widowmaker, a metà strada tra i Mono ed i Tortoise meno squadrati. Albuquerque Reprise, dopo aver trovato valvola di sfogo in disperate urla confuse tra sedimenti di chitarra, plana verso climi notturni non proprio rassicuranti.
Altra formazione invischiata nella faccenda sono gli Ocean, forse quella di maggiore "spicco" tra le tre. Il quartetto di Portland è autore di Here Where Nothing Grows, monumentale debutto suddiviso in tre lunghi capitoli che, sommati, raggiungono la nient'affatto trascurabile durata di 65 minuti. Il loro monicker non può non rimandare alle maestosità di enormi masse d'acqua che si spostano, ingrossandosi e impiccolendosi sotto il regime delle maree. E la band non tradisce tali figurazioni con una musica magmatica ed epica, seguendo gli insegnamenti dei Burning Witch, ma soprattutto, accodandosi a quel sound sporco e fascinoso caro agli imprescindibili Buried At Sea (c'è Sanford Parker alla produzione) e agli Unearthly Trance degli esordi, oltre a non nascondere certe fascinazioni per momenti più onirici di estrazione prog-core/post-rock (come in The Salt, dove non è peccato intravedere i Pelican in mezzo). Sembrerà retorico, ma le tre composizioni di "Here Where Nothing Grows" hanno davvero il genoma dei flussi sonori, con crescendo inesorabili accompagnati da movenze lentissime (che raggiungono nella conclusiva The Fall le andature di un corteo funebre), ondeggiando in tenebrosi spazi marini dove la luce non filtra nemmeno per mezzo di volontà divine. L'opener First Reign è il giusto e solenne inizio del cerimoniale in cui è facile rimanere colpiti da quella voce lacerata e carica di malessere o da quelle chitarre sature che tanto piacerebbero ai Rwake, prima che si spenga, inabissandosi nelle profondità subacquee. Galleggiamo sospinti da una brezza nera che d'improvviso smette di soffiare e ci fa precipitare rovinosamente per terra. Storditi ci rialziamo e diamo un'occhiata in giro. Il vuoto assoluto ci circonda, pare volerci inghiottire. Come una maschera di ghiaccio, la paura veste i nostri volti. È la fine del viaggio, l'ultima fermata. Qui, dove nulla cresce.
CONIFER : Conifer
(Important! Records / 43rd Parallel, 2004)
OCEAN : Here Where Nothing Grows
(Important! Records / 43rd Parallel, 2005)
Links:
myspace.com/moneycastasia
myspace.com/conifer - conifermusic.com
myspace.com/ocean - oceanofdoom.com
Dal nome suggestivo tanto quanto le loro creazioni sonore, i Conifer sono un quartetto strumentale da tenere sott'occhio. Nell'unica loro release omonima del 2004 i Nostri flirtano con diversi linguaggi musicali. L'apertura di Troy pare sottratta alle radure ambientali dei Boards Of Canada, con le frequenze che si intrecciano e ribollono, prima che si innesti un arpeggio che i Mogwai della prima ora non avrebbero affatto disdegnato. Ed è solo l'inizio di un ammaliante viaggio, in cui le dinamiche sono cesellate perfettamente per creare grandi aree di pieni e vuoti che si interscambiano. Quando tutto sembra acquietarsi arrivano da chissà dove voci orrorifiche che paiono strangolarsi tra di loro, come se degli spiriti malvagi avessero deciso di manifestarsi in uno scontro fratricida accompagnato da un tessuto che nel frattempo ha assunto i tratti somatici del doom. È un continuo rifrangere di stili, un continuum che si spezza in continuazione, pur mantenendo una filigrana che gli impedisce di sfibrarsi e slacciarsi: si passa in un batter d'occhio dallo stoner al post-rock, da deflagrazioni di chitarre ad abbassamenti di intensità inattesi di origini ambient. Nella sola Troy, nei suoi venticinque minuti, è riassunta gran parte dell'essenza di Conifer, che nella successiva Turning Sand Into Glass si svolge quasi completamente in ambito stoner/doom, a differenza di Widowmaker, a metà strada tra i Mono ed i Tortoise meno squadrati. Albuquerque Reprise, dopo aver trovato valvola di sfogo in disperate urla confuse tra sedimenti di chitarra, plana verso climi notturni non proprio rassicuranti.
Altra formazione invischiata nella faccenda sono gli Ocean, forse quella di maggiore "spicco" tra le tre. Il quartetto di Portland è autore di Here Where Nothing Grows, monumentale debutto suddiviso in tre lunghi capitoli che, sommati, raggiungono la nient'affatto trascurabile durata di 65 minuti. Il loro monicker non può non rimandare alle maestosità di enormi masse d'acqua che si spostano, ingrossandosi e impiccolendosi sotto il regime delle maree. E la band non tradisce tali figurazioni con una musica magmatica ed epica, seguendo gli insegnamenti dei Burning Witch, ma soprattutto, accodandosi a quel sound sporco e fascinoso caro agli imprescindibili Buried At Sea (c'è Sanford Parker alla produzione) e agli Unearthly Trance degli esordi, oltre a non nascondere certe fascinazioni per momenti più onirici di estrazione prog-core/post-rock (come in The Salt, dove non è peccato intravedere i Pelican in mezzo). Sembrerà retorico, ma le tre composizioni di "Here Where Nothing Grows" hanno davvero il genoma dei flussi sonori, con crescendo inesorabili accompagnati da movenze lentissime (che raggiungono nella conclusiva The Fall le andature di un corteo funebre), ondeggiando in tenebrosi spazi marini dove la luce non filtra nemmeno per mezzo di volontà divine. L'opener First Reign è il giusto e solenne inizio del cerimoniale in cui è facile rimanere colpiti da quella voce lacerata e carica di malessere o da quelle chitarre sature che tanto piacerebbero ai Rwake, prima che si spenga, inabissandosi nelle profondità subacquee. Galleggiamo sospinti da una brezza nera che d'improvviso smette di soffiare e ci fa precipitare rovinosamente per terra. Storditi ci rialziamo e diamo un'occhiata in giro. Il vuoto assoluto ci circonda, pare volerci inghiottire. Come una maschera di ghiaccio, la paura veste i nostri volti. È la fine del viaggio, l'ultima fermata. Qui, dove nulla cresce.
CONIFER : Conifer
(Important! Records / 43rd Parallel, 2004)
OCEAN : Here Where Nothing Grows
(Important! Records / 43rd Parallel, 2005)
Links:
myspace.com/moneycastasia
myspace.com/conifer - conifermusic.com
myspace.com/ocean - oceanofdoom.com
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