BUGGE WESSELTOFT : It's Snowing On My Piano
(Act, 1998)
(Act, 1998)
Non ancora giunto al downtempo electro-jazz dell'eccelso "Moving" di sei anni più tardi, il norvegese Bugge Wesseltoft, mastermind dell'etichetta Jazzland, una tra le migliori realtà del panorama jazz attuale, dipinge col suo secondo capitolo discografico un delicato affresco dalle tinte pastello quasi sbiadite, tentando l'esplorazione del suo lato più intimista. Dodici brani di solo grand piano con architetture essenziali in cui è la sola melodia portante (raramente sostenuta da una ritmica) a fungere da materia prima. Il jazz è qui proposto in una veste inusuale e al suo ceppo possono essere ricondotti solo semplici fraseggi. È più che altro una continua ode allo spirito in salmi contemplativi e trasognati, in cui note lievi si congiungono in un puzzle armonico equilibrato e morbido, viaggiando su candide progressioni che si poggiano dolcemente, proprio come la neve che cade cauta ed ordinata. Un approccio raffinato e mai altezzoso o distaccato. Melodie impalpabili ma allo stesso tempo pulsanti, capaci di far vibrare le corde dell'anima. Nevica sul pianoforte di Bugge ed il gelo, stavolta, ci scalda il cuore.
DEEP TURTLE : Turkele
(Zerga, 2003)
Parrebbe difficile prendere sul serio un gruppo che adotta, come ragione sociale, la storpiatura del nome di una delle band più altisonanti della storia del rock e che, tradotto, significa "tartaruga profonda". E invece i Deep Turtle vanno assolutamente presi sul serio. Inverecondi seguaci (ma non in maniera impersonale) del verbo dei NoMeansNo, da cui mutuano il lato più minimalista ed improvvisato, si formano nei primi anni novanta, si scioglieranno nel '96 per poi tornare nuovamente insieme nel 2001. Attualmente attivi, ciò che rende questa band abbastanza peculiare per parlarne, oltre all'interessante musica, è il fatto che, essendo finlandesi i loro testi siano scritti interamente in spagnolo. Per loro è un vanto e non ne dubitiamo affatto. Scendendo ad un livello sonoro, Turkele va ad incastonarsi in quella cortina che c'è tra il post-rock, il post-hardcore fugaziano e lievi cenni jazzati. Il tutto è miscelato con arguzia e la giusta dose di umorismo (le andature giocose di Perdido) che non guasta mai. Con canzoni che si pongono contro lo sfruttamento irrazionale delle risorse naturali da parte dell'uomo e, soprattutto, in opposizione alle pericolose politiche ambientali e guerrafondaie degli Stati Uniti, le tartarughe intagliano brani dove fraseggi convulsi dall'afflato latino imperversano a più riprese nelle maglie strumentali, richiamando non poco gli stilemi dei Mars Volta (Pesadilla, Cupuvis, Martillos Malditos). Stacchi e ripartenze nervose, voce caustica, basso sferzante e divagazioni rumoristiche in sette brani per poco più di venti minuti. Gente più seria di quel che si possa pensare a priori.
TREPHINE : Trephine
(Public Guilt, 2005)
(Zerga, 2003)
Parrebbe difficile prendere sul serio un gruppo che adotta, come ragione sociale, la storpiatura del nome di una delle band più altisonanti della storia del rock e che, tradotto, significa "tartaruga profonda". E invece i Deep Turtle vanno assolutamente presi sul serio. Inverecondi seguaci (ma non in maniera impersonale) del verbo dei NoMeansNo, da cui mutuano il lato più minimalista ed improvvisato, si formano nei primi anni novanta, si scioglieranno nel '96 per poi tornare nuovamente insieme nel 2001. Attualmente attivi, ciò che rende questa band abbastanza peculiare per parlarne, oltre all'interessante musica, è il fatto che, essendo finlandesi i loro testi siano scritti interamente in spagnolo. Per loro è un vanto e non ne dubitiamo affatto. Scendendo ad un livello sonoro, Turkele va ad incastonarsi in quella cortina che c'è tra il post-rock, il post-hardcore fugaziano e lievi cenni jazzati. Il tutto è miscelato con arguzia e la giusta dose di umorismo (le andature giocose di Perdido) che non guasta mai. Con canzoni che si pongono contro lo sfruttamento irrazionale delle risorse naturali da parte dell'uomo e, soprattutto, in opposizione alle pericolose politiche ambientali e guerrafondaie degli Stati Uniti, le tartarughe intagliano brani dove fraseggi convulsi dall'afflato latino imperversano a più riprese nelle maglie strumentali, richiamando non poco gli stilemi dei Mars Volta (Pesadilla, Cupuvis, Martillos Malditos). Stacchi e ripartenze nervose, voce caustica, basso sferzante e divagazioni rumoristiche in sette brani per poco più di venti minuti. Gente più seria di quel che si possa pensare a priori.
TREPHINE : Trephine
(Public Guilt, 2005)
La musica dei Trephine da Baltimora è davvero incalzante e tosta. Ennesima prova di come il concetto di prog-rock stia mutando, assumendo ora sempre più nuove e svariate forme che esulano dai formati classici intrisi di virtuosismo, incursioni sinfoniche e dreamtheaterismi assortiti. Qui all'esordio su Public Guilt con l'opera eponima, i quattro strumentisti statunitensi non vanno tanto per il sottile. Nel loro sound si trova di tutto: noise-core, thrash metal, oscurità doom (Goes To Hell, Mr Wiggles (part one) nasce lenta e cupa), zigrinature math, complessità ritmiche e tempi contorti, facendo confluire un simile impasto in dinamiche costruzioni prog. Si provi ad immaginare una fusione tra i geni di Mastodon, Clutch, Dysrhythmia e Melvins che genera così un ibrido strumentale furibondo e carico di nervi (Age Of Reptiles, Metal Detector, Resident Advisor), escoriante ed affilato, una dimostrazione di potenza mista a classe degna di un gruppo dalla spiccata personalità, nonostante le ascendenze. Speriamo che in futuro non pochi possano accorgersi del loro creativo estro.
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