lunedì 11 febbraio 2008

JOHN DE LEO : Vago Svanendo



Alquanto difficile non scavare nel passato artistico di John De Leo, in quei Quintorigo che lo esposero all'attenzione di una fetta di ascoltatori dal palato fine, esigenti ed affamati di musica forbita e non convenzionale. Stessi tratti che si possono tranquillamente rintracciare in questa prima opera solista del cantautore romagnolo, summa di quanto negli anni il Nostro è riuscito ad apprendere, anche da esperienze extra-musicali: i rapporti di stima-amicizia con lo scrittore Alessandro Bergonzoni (qui presente in un monologo ritmato nella ghost-track a protesi della conclusiva Sinner), le ispirazioni avute da alcuni dipinti per la stesura di alcune canzoni ivi incluse, così come alcuni scritti di diversi scrittori. De Leo mostra quindi la sua dimestichezza intersemiotica che traduce immagini e parole in suoni e melodie. Vago Svanendo si rivela così un viaggio non adatto a tutti a causa di una spigolosità nelle strutture, nelle bizzarre trovate di "stratosiana" memoria che da sempre fanno parte del suo repertorio (un archetipo fu "Nola vocals" inclusa in "Grigio" dei Quintorigo), come ad esempio Canzo, momento di dialogico funambolismo tra voce e tromba (di Gianluca Petrella), o le architetture solo vocali di Freak Ship (ispirato da un quadro di Hyeronimous Bosch, "La nave dei pazzi", composto tra il 1490 ed il 1500). I concetti di follia e vagabondaggio nautico - in un probabile mare del chaos mentale? - sono spesso ripresi ed appaiono alla stregua di leitmotiv che animano l'opera: lo dimostrano anche Tilt (C'è Mattia?) che riverbera i Quintorigo più ilari e giocosi o il palese tributo alla canzone jazz d'autore alla maniera di Paolo Conte di Spiega La Vela. Elegante e sontuoso l'arrangiamento orchestrato sullo standard di Leonard Bernstein Big Stuff, dove emerge il lato più melodico e convenzionale del prisma vocale di De Leo, intento a caricare di vitree tinte un sinuoso e continuo intreccio di archi. Con Bambino Marrone (primo singolo prescelto) si fa largo una ludica voglia di giocare con la canzone pop, con un refrain che si distende spensierato mentre tutt'attorno l'arrangiamento è ispessito dall'uso di giocattoli atti ad ampliare lo spettro cromatico. Piace molto anche Le Chien Et Le Flacon in cui la linea vocale si tramuta in strumento aggiunto inseguendo e lasciandosi sorpassare dal restante tessuto con chitarra acustica e tromba in bella vista. Se dovessimo star qui a dire quale sia il brano più bello non potremmo non dire che questo sia L'Uomo Che Continua, che piace per il tono dimesso (grazie anche ad un immaginifico testo dai tratti acutamente esistenzialisti), per i contrappunti vocali nel refrain e per le fascinose e dissonanti movenze della chitarra. Questo primo capitolo in solitario di John De Leo mostra come ci siano artisti che appaiono sordi alle sirene del successo plastificato delle charts, mossi solo dall'urgenza e dalla necessità di raccontare il vasto mondo interiore che abita ogni uomo, avvalendosi di forme artistiche diverse ma contigue. La filigrana che lega il passato di De Leo al presente non è stata recisa e l'afflato istrionico di questo albo lo dimostra, lavoro di per sé dotato di suggestivo fascino.

(Carosello Records, 2007)
Intro: 4 Piano Notes / Freak Ship / Vago Svanendo / L'Uomo Che Continua / Canzo / Tilt (C'è Mattia?) / Spiega La Vela / Big Stuff / Bambino Marrone / Le Chien Et Le Flacon / Sinner

Nessun commento: