Josè Saramago non concede nessun appiglio. Personaggi senza nome e senza volto, quasi fossero manichini squadrati irretiti nelle logiche del potere. Città e nazioni senza nome, come se non ci fosse alcuna differenza tra questo e quel luogo, in ogni dove il potere esercita le sue pressioni e regola ogni assetto ed ogni equilibrio. Come un continuo allargamento dell'obiettivo, la scena ed i fatti assumono dimensioni sempre più macroscopiche. Alle elezioni amministrative oltre l'ottanta per cento dei cittadini della capitale vota scheda bianca. Il governo, allarmato da tale situazione, la quale viene svenduta alla massa come un atto di rivolta anarchica, abbandona la città per trasferire così il centro del potere amministrativo altrove. E dal suo nuovo eremo continua l'azione di mistificazione e demonizzazione di quell'atto tanto scriteriato quanto scellerato. Ma la città, abbandonata a se stessa, senza più nemmeno la polizia e l'esercito a sorvegliare per l'incolumità della popolazione, continua la sua vita con ordine e discrezione. Saramago sposta la cinepresa linguistica continuamente qui e lì, in un susseguirsi di discorsi ed azioni che hanno continuamente differenti protagonisti, come tante storie contenute in una sempre più grande, come strutture piccole che moltiplicate creano un abnorme figura frattale. La retorica stereotipata del politichese, l'opulenza delle frasi fatte impregnate di nazionalismo, patriottismo imbolsito ed ostinazione nella creazione di demoni da fronteggiare a tutti i costi, purché il meccanismo della paura continui imperterrito a lavorare e non lasci un solo attimo di tregua alla popolazione. Il narratore racconta i fatti con caustica ironia, lasciando entrare il lettore nella narrazione rivolgendosi ad esso direttamente, indagando la psiche di chi agisce, trapanando fin dentro il midollo per scovare agitazioni, nervosismi o piccoli attimi di gloria che in un batter di ciglio evaporano. La maggior parte di Saggio sulla Lucidità si svolge attraverso dialoghi informati nell'inconfondibile stile dell'autore. I cambi di turno nei dialoghi infatti non sono definiti dalle solite virgolette che aprono e chiudono un intervento, bensì da un uso testardo delle virgole e delle maiuscole che lasciano così intendere il cambio di oratore. Non è raro quindi imbattersi in due o tre pagine consecutive in cui non v'è traccia di un solo punto che fermi la narrazione. Ciò porta ad una vivacità impressionante, soprattutto nei passaggi in cui le conversazioni si fanno altamente concitate. Il governo indaga, riunioni tra i membri di questo si susseguono, bisogna trovare l'epicentro, l'occhio del ciclone, l'origine di un tale misfatto. Ad un commissario di polizia l'infausto compito di indagare e di tentare di scovare se vi sono connessioni tra questa rivolta e l'epidemia di cecità che esplose quattro anni prima nella città. Il tutto conduce sulle tracce di una donna che non era diventata cieca e sospettata di omicidio. Lentamente emerge così un quadro inquietante in cui è evidente la macchina di propaganda governativa, abile nel muoversi liberamente in ciò che tutti chiamiamo "sistema democratico". Un thriller politico che invita a riflettere e a tentare di comprendere anche quale sia il ruolo dei mass media nella creazione, sotto commissione dei centri di potere, di autentici spauracchi e capri espiatori che servono soltanto a nascondere la ferocia dei piani di dominio di massa di una ristretta èlite. Saramago colpisce con un linguaggio dinamico ed aguzzo, con stilettate di ironia sparse qua e la che evidenziano quanto di grottesco nella società fondata sulla "libertà", sui "diritti" e sull' "uguaglianza" ci sia al di sotto della pura facciata. Una storia dai tratti surrealisti che invero mostra cosa si agiti sotto la superficie della nostra quotidianità. L'altra faccia della realtà.
giovedì 19 marzo 2009
mercoledì 18 marzo 2009
LIBRI : Paul Auster, Leviatano
Come il caso, la catena di eventi che ruzzolano uno sull'altro, compenetrandosi e lasciando ognuno la propria traccia su quello che lo ha preceduto, come la casualità può, in ogni istante della vita, farci deragliare dal sentiero che ci eravamo prefissati di percorrere. Ruota intorno a questo, ma non solo, il Leviatano di Paul Auster. Uno degli autori più apprezzati in terra natìa (gli USA), Auster architetta una storia "paradossalmente reale", in cui l'intersecarsi degli eventi assume i toni di un ventaglio di possibilità che può senza alcun dubbio trovare riscontro nell'esistenza di tutti i giorni. Al centro dei fatti vi è Benjamin Sachs, scrittore promettente e persona brillante. A narrare è il suo amico Peter Aaron, scrittore anch'egli, che qui redige il "memoriale", il testamento del passaggio su questa terra di Sachs. Si, perché sin da principio si è al corrente del fatto che Sachs sia morto. Aaron lo ha appreso da un trafiletto sul New York Times: Sei giorni fa un uomo si è fatto saltare in aria sul ciglio di una strada del Wisconsin del nord. L'FBI indaga e va a casa di Aaron, la vittima aveva il suo numero in tasca. Da qui lo scrittore congiunge i pezzi e decide di mettere mano al libro e di narrare la storia del suo amico, dal momento in cui, fortuitamente (ma nemmeno poi tanto) si incontrano, fino agli ultimi tormentati periodi. La chiave di tutto sono le coincidenze, quelle stradine secondarie che affluiscono nel lungo viale che è la vita (a tal proposito mi viene in mente, quasi a mo' di flash cerebrale, il dipinto di Paul Klee, "Strada principale e strade secondarie", ma non chiedetemi perché). I personaggi entrano, escono, poi rientrano e riescono. Episodi, lasciati lì come contorno, seminati come tracce, assurgono a rulo primario in un punto successivo del districarsi della storia. Il tono è accorato e morbido, ma non si lascia mai andare ad enfasi eccessivamente caricata o digressioni melense. Ogni apertura "filosofica" interna alla narrazione non appare mai disgiunta dallo svolgersi dei fatti e ciò che più colpisce è la fluidità dello stile. In una scrittura priva di costruzioni troppo cervellotiche ed ermetiche (vizietto di tanti scrittori al giorno d'oggi), le parole si susseguono con una semplicità applicata ad un'efficacia comunicativa quasi disarmante. Andando avanti ed indietro nel tempo il narratore Auster/Aaron costruisce una storia umana a tratti toccante, che lambisce le lande della disperazione ma non se ne lascia travolgere. A permerare il tutto c'è sempre quel barlume di speranza, a volte sepolto e poi disseppellito che è come una luce in fondo al tunnel. Formidabile la descrizione della personalità di Sachs e la forgiatura di un quadro spazio-temporale mai eccessivamente sfumato, in modo tale da poter incastonare gli eventi in determinati punti di riferimento. S'avverte una lieve flessione verso la fine del quarto capitolo, in cui la descrizione dei fatti diviene un po' frettolosa e la "banalità" degli avvenimenti non è ben camuffata da un intreccio fin lì davvero molto efficace. "Leviatano" scorre velocemente senza perdere in tensione e flusso narrativo, crea un quadro realista governato dal paradosso delle incidenze. Una lezione di vita, in cui convergono anche il senso degli ideali, il rispetto della vita, la funzione stessa della scrittura (come mezzo di sopravvivenza dello scrittore nella coscienza collettiva dopo la morte). Un romanzo che potrebbe lasciare il segno in chi avrà il piacere d'intrattenersi in sua compagnia, come in una chiacchierata tra vecchi amici incontratisi casualmente per strada.
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